Steve Lukather - Una vita in tour

Steve Lukather - Una vita in tour

Steve Lukather è un musicista che non si discute, nel senso, non si può discutere anche volendo, perché ciò che ha rappresentato e rappresenta nella scena musicale è inciso in un numero infinito di dischi, perciò più che "carta canta", è il caso di dire "vinile suona"!
L'ho sempre visto come un mito, un'icona della chitarra, una rockstar inarrivabile, inoltre ho sempre assorbito con grande soddisfazione per lo spirito ogni nota che gli ho sentito emettere.

Negli anni '80, quando ho iniziato a suonare la chitarra, lui era uno dei session man più richiesti al mondo, oltre ad essere all'apice del successo con i Toto che avevano conquistato il mondo con Toto IV e gli altri storici album usciti in quegli anni.
Era anche un riferimento per quanto riguarda il suono della chitarra elettrica, uno dei chitarristi più evoluti non solo per il suo fraseggio, ma anche a livello tecnologico. I suoi rack pieni di lucine di ogni genere erano sognati da tutti i suoi estimatori.
Da lì in poi l'ho sempre seguito e la sua carriera solista mi ha sempre regalato della grandi pagine musicali. Ho consumato Candyman e tutto ciò che ha prodotto successivamente!
Detto ciò, potrete immaginare il mio stato d'animo quando mi è stato proposto di fare un clinic tour con Steve Lukather!

Luke non si era mai dato disponibile per questo tipo di eventi, le aspettative di un pubblico di soli chitarristi, il carattere molto spesso troppo tecnico e meno musicale di questi eventi e tanti altri fattori l'avevano sempre tenuto alla larga dal concetto di clinic.
È stato grazie ad un musicista e produttore italiano residente a Los Angeles, Fabrizio Grossi, che si è potuto proporre a Luke un format meno stressante, più discorsivo e familiare che alla fine l'ha convinto ad accettare l'invito.
Fabrizio mi aveva già dettagliatamente informato sulle abitudini di Steve, sul suo mood con la gente e sulle sue esigenze. Grazie a ciò siamo riusciti insieme a preparare un terreno perfetto per farlo sentire a suo agio.
L'incontro in aeroporto mi aveva subito tranquillizzato, Luke si era subito dimostrato molto alla mano ed estremamente disponibile ad adattarsi alle nostre esigenze. Una volta capito che avrebbe potuto far riferimento a me e a Fabrizio per qualunque cosa, era felice, rilassato e voglioso di iniziare l'avventura delle sue masterclass in Italia.

Prima di partire, avevo organizzato un paio di interviste nella hall dell'hotel in cui alloggiava a Milano e, ovviamente, sono sempre stato presente durante gli incontri con i giornalisti. In un'atmosfera rilassata e accompagnata da svariati drink e snack, uscivano aneddoti di ogni genere, legati ai musicisti più influenti al mondo con cui Luke aveva attivamente collaborato. Spesso il discorso volgeva su Michael Jackson, che all'epoca era ancora vivo, e Luke faceva sbellicare tutti dalle risate con un'imitazione della voce di Michael durante la telefonata in cui gli aveva chiesto di suonare per lui.
Era una mattina e Michael Jackson aveva deciso di telefonare personalmente a Luke per invitarlo a lavorare con lui. Luke, complice il risveglio improvviso, non aveva creduto fosse davvero Michael dall'altra parte della cornetta, perciò l'aveva mandato volgarmente a quel paese per ben due volte, prima che la terza telefonata arrivasse dal manager che gli chiedeva gentilmente di non riattaccare alla telefonata successiva.
Oltre a ciò erano uscite curiosità relative alle registrazioni di Thriller, pare il riff principale e la struttura di Beat It fossero stati creati da Luke e Jeff Porcaro in un momento in cui Michael non era nemmeno in studio... anche se a ciò non era seguita un'adeguata distribuzione delle royalties…

Per le clinics Luke mi aveva chiesto di preparargli una delle sue chitarre signature con delle corde Ernie Ball 0.09/0.42 e il ponte regolato floating. Ovviamente avevo scelto una Music Man Luke Ball Family Reserve, una delle più preziose prodotte allora e mi ero occupato personalmente del setup.
A livello di amplificazione la richiesta era di una testata con una distorsione moderna, in questo caso avevo scelto una Mesa Boogie Dual Rectifier, mentre per i pedali avevo approntato su sua richiesta una pedaliera con un accordatore, un chorus e un delay della Boss, un Ibanez Tube Screamer, un wah Dunlop e un pedale volume della Ernie Ball.
Una richiesta molto modesta, soprattutto da parte di un chitarrista famoso per usare un sacco di pedali boutique, famoso per i suoi mega rack e famoso per essere una delle muse di un certo Bob Bradshaw.
In realtà, una volta arrivato, mi aveva spiegato che il motivo di tale richiesta era quello di permettermi di trovare facilmente ciò che gli serviva. Scegliendo dei pedali così largamente diffusi, sapeva avrebbe trovato esattamente ciò che si sarebbe aspettato.
In seguito a questo tour, avevo ricevuto varie richieste di informazioni relative al setting di quei pedali e dell'amplificatore, ma devo confessare la verità. Dopo il primo soundcheck mi ero messo a trascrivere tutti i settaggi per poter facilmente replicare il tutto nelle clinic successive, ma Luke mi aveva fermato dicendomi "Cosa stai facendo? Ora ci aspetta la cena e tu perdi tempo con queste cazzate? Andiamo a rilassarci, tanto gli strumenti suonano sempre come devono suonare!"

Luke aveva ragione, ogni chitarrista ha un suo suono nelle mani, un suo modo di approcciare la chitarra e di usare gli effetti, perciò non ha senso attribuire troppa importanza a dei valori numerici. Come tutti, anche Luke ha il suo suono ovviamente. La differenza sta nel fatto che il suo suono è quello che vorrebbero avere tutti!
Le clinics si svolgevano in maniera molto colloquiale, Fabrizio traduceva ogni singola battuta di Luke e la gente era piegata dalle risate per il suo modo di descrivere tante situazioni.
Luke non usava basi e nemmeno una band, suonava qualche esempio e chiudeva l'incontro con una Little Wing molto intensa eseguita con chitarra e voce. Ovviamente non mancavano le richieste in stile juke box legate al suo repertorio, in questo caso era sempre molto disponibile, laddove la memoria riusciva a supportarlo.
È incredibile pensare che, ogni volta che Luke ascoltava qualche chitarrista virtuoso durante il nostro tour, rimaneva quasi a disagio, si sentiva immediatamente incapace di poter competere con una simile tecnica... lui! Un chitarrista con una musicalità unica, colui che ha scritto brani che sono diventati dei classici della musica pop/rock di tutti i tempi, ma soprattutto colui che ha influenzato e continua ad ispirare più generazioni di chitarristi, sicuramente anche quelli che oggi lo imbarazzano con le loro performance tecniche.
Questo vi può far capire quanto sia umile e il grande rispetto che riservi agli altri musicisti.

Trovandoci in Italia, il momento dei pasti era quasi un rito religioso per Luke. Ogni pranzo e cena erano stati graditi oltremodo e ricordo addirittura di una genuflessione di fronte allo chef per dimostrare quanto avesse gradito ciò che ci avevano servito.
Man mano che passavano i giorni, c'era sempre più confidenza tra di noi e questo mi aveva permesso di conoscere la sua indole più personale. Grazie a ciò posso davvero dire che Luke è una persona molto buona e semplice. Ovviamente il suo ruolo all'interno del music business lo porta a dover essere a volte più distaccato, non è possibile avere una confidenza sufficiente a dimostrare a chiunque chi tu sia davvero, soprattutto quando incontri centinaia di persone diverse ogni giorno. Però nei momenti più solitari e rilassati ho avuto modo di capire quanto sia una persona di cuore e mi ha fatto davvero piacere scoprire questo suo lato molto sensibile.

Grazie al successo di questo tour e ad una condizione economica del settore che poteva ancora permettere certi investimenti, avevamo deciso di bissare l'esperienza l'anno successivo, nel 2009, individuando altre città in cui fermarci.
Con Luke ci eravamo già incontrati di nuovo durante il tour del suo album Ever Changing Times, in quell'occasione aveva voluto invitarmi nel backstage portandomi snack e drink personalmente dicendo "stasera sei tu ad essere mio ospite!".
Anche il clinic tour del 2009 aveva avuto un esito molto positivo e tanti altri chitarristi e fan dei Toto avevano avuto l'opportunità di vedere da vicino Luke, di stringergli la mano, di fare una foto con lui, di porgli la domanda che da anni attendeva una risposta.
Purtroppo oggi, complice tutto il materiale che si trova in rete, le clinics non registrano più l'affluenza di quegli anni e, di conseguenza, gli organizzatori sono sempre più restii ad investire in questo senso. Dico purtroppo perché penso la clinic sia un ambiente diverso, unico, in cui potersi trovare. Non è possibile vedere così da vicino un artista durante un concerto con la sua band, inoltre nei live non è certo possibile porre delle domande ad un musicista, osservare da vicino le sue mani, i suoi strumenti, nemmeno chiedergli di rifare più lentamente un passaggio particolare di una frase. Oltre a ciò, una clinic è anche assimilabile ad un meet and greet, visto che a fine evento è quasi sempre possibile stringere la mano al proprio artista preferito e sappiamo bene che oggi queste opportunità vengono vendute a cifre molto alte durante i concerti (i cosiddetti VIP Tickets).

Dopo questi due tour, ho sempre incontrato Luke al Namm e mi ha sempre riservato un'accoglienza molto calorosa.
Qualche anno fa, grazie ad una fortuita coincidenza, erano a Milano sia lui che Steve Vai, perciò avevo organizzato per Mogar, il distributore per cui lavoravo, una sessione autografi pomeridiana nel negozio di Lucky Music. Era stato abbastanza surreale andare a prendere Luke in hotel, passare a prendere Vai all'Alcatraz e poi andare da Lucky! Una camionata di rockstar insomma!
Lo stesso incontro è avvenuto in occasione del concerto dei Toto all'Ippodromo di Milano. Steve Vai era in Italia per delle clinics e quel pomeriggio era proprio a Milano, perciò alla fine ci eravamo trovati tutti nel backstage dei Toto con un Luke in super forma che faceva da intrattenitore per noi ospiti.
Ricordo sempre con grande piacere quei tour, quel tempo passato con Luke e la possibilità che ho avuto di vivere così da vicino un artista simile. È stato tutto una figata memorabile!

Stefano Sebo Xotta

Foto di Orazio Tuglio ed Alex Ruffini


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